giovedì 4 aprile 2013

Otto parole.

Disattivo le bombe. 
Fuori è una pioggia. Dentro anche.
Ho quasi finito l'acqua.
La mia borsa si è ridotta a un sacchettino bianco con stampe di palme.
California.
E qui piove.
Qui stanotte siamo tutti giù, ci rispondiamo male. 
E che sta andando un tantino male lo indica l'orario.
Quando pensi sia finita comincia. 
Non credo ne uscirò sana e salva
già sto cercando di uscire da un portone senza aver chiavi.
Tiro pugni e dò manate ovunque. Disperazione.
Ridere. "E dalla tua camminata si direbbe tutto quello che hai concesso."
Ho delle figure. Ho delle figure in testa.
Ho nuovi modi. Ho figure disegnate. Oggetti fermi.
Ai principi nessuno dà peso, perchè? perchè è tutto inutile pensano.
Quindi cercano soluzioni. Le cerchiamo anzi.
Ma và così-dico. E finirà un giorno. 
Ma quel giorno qualcosa si sgretola, cancelliamo le mura. Ma servono.
La piazzetta è esplosa. Il mio eskimo è bucato. Pelo distrutto. Nero.
"Sai sentire o no cosa si prova?" "Io ti conosco da prima che arrivassi in questo posto."
 

martedì 2 aprile 2013

Chine.

A questo punto non dovevo arrivarci. Non dovevo tornarci.
Mentre ripasso un disegno mi si spezza la punta del  pennarello, china da 0.1
E io allora me ne sto qui. A parlare di me con me.
A pensare ai miei mesi con me.

Una macchina mi viene a prendere. Arriva nello stesso momento in cui io arrivo al punto d'incontro.
Zitta salgo, chiudo la portiera, con le mani nelle tasche del mio eskimo.
Terza e partiamo. Io guardo fuori un po' dal mio finestrino e un po' alla strada che proseguiamo, avanti a me.
Con gli occhi fluidi e indifferenti, continuo a guardare avanti. Mi mordo le labbra e tolgo le pellicine, me ne sto tutta composta, prassi. Dato che aspetto un gesto. Qualche mossa. Qualche movimento. Una parola.
I suoi discorsi sempre freddi e a bassa voce. Cose dette per farti smettere di star così.
Che io invece son diretta e mi dispiace, gli dico. Che nei mesi ci son cose che son rimaste, aggiungo.
E aggiungo anche che non può fermare la crescita dell'erba nonostante l'aver piantato un seme solo per sentirsi soddisfatto.
Voci calde. Entriamo.
Ci siamo messi d'accordo per chiarire alcune cose, e che a casa non saremmo riusciti, lo sappiamo troppo bene.
Mi dice che dobbiamo stare fermi che dobbiamo staccare e aspettare che qualcosa sbuchi fuori di nuovo, perchè-aggiunge-che abbiamo bisogno di spazi nonostante il nostro tipo di relazione,  ma che qualcosa tornerà di sicuro.
Così continua a parlare in modo molto tecnico, come se fossimo a una riunione d'equipe di un'azienda. Fa degli elenchi e indica punti a caso sul tavolo di legno.
Io ho poche cose da dire invece. Però sto zitta.
Vorrei che qualcosa lo ammettessimo. Che ci svelassimo qualcosa dopo tanto tempo.
E quindi tutto finisce, la birra nella tazza di ceramica finisce, la sua pinta pure, il pub chiude e io torno a casa a piedi.
Con le mani nelle tasche del mio eskimo. Cammino e sta notte sto con Ravenna e il mio freddo.
Una pizza baby in un posto ancora aperto e mi siedo; anche perchè la vans sono un po' scomode dopo un po'.
Lui andrà a ballare sorridente, un sorriso vero. 
Ora il tempo è deserto, ma su facebook arriva un messaggio.