C'erano delle cose da fare, da sbrigare. Di tempo ce n'era veramente poco e io avevo fretta. Così saltavo ogni terapia ogni abitudine e ogni cosa di routine che per una persona normale è d'abitudine eseguire.
Era un continuo appiccicarsi dello scotch addosso e lasciare che tutto si appiccicasse sopra.
Mi scordavo anche di mangiare. Di mettere il tappo all'obiettivo della macchina fotografica. Nessuno si accorgeva di quanto fossi io, di quanto quel che vivessi fosse attaccato a me e di quanto quel che non volevo raccontare fosse tanto segreto, buio e pauroso.
In ogni caso il pavimento era da spazzare.
lunedì 28 gennaio 2013
sabato 19 gennaio 2013
Thè verde.
La posizione verticale di una sfera.
Il centro dello spazio. L’area di un
segmento. Coglimi. Il tempo sta già lavorando sugl’ingranaggi.
Oggi. Ora. Dopo. Domani. Fra 4 mesi e mezzo. Continueremo ad essere su
un letto. A muoverci sul pavimento, bavosi e orridi esseri umani. Così
sicuri che perdere sangue sia grave, che fretta di non perdere la vita,
avviati tutti i giorni verso una morte. Collettiva e non. Solo prenderci
le mani. Guardarci negli occhi, mentre accarezzi le gambe. Vorrei
pregare piangendo, a qualcuno di restare. Vorrei poter stare male per
qualcuno che mi desidera ogni giorno, che mi pensa mentre sta guardando
l’angolo di una finestra. Mentre il freddo gli congela le nocche. Vorrei
crescere sulla schiena di un ragazzo che diventi uomo ma che sappia
essere ragazzo. (Tutto questo da Micol. 17enne al thè verde.
All’italiana. Perfetta stupida, essere umano di sesso femminile.
Aggiorna. Non crea, pensa ai gesti-agli altri. Non in senso altruista.)
Senza dirci niente, nemmeno essere uniti pubblicamente. Bisogna saperlo
già da sè. Bisogna sapere tutto. Bisogna sapere niente. Quando le mani si aggrovigliano, quando ci si
schiaffeggia da soli alle 4.37 di un giovedì notte, mentre mi faccio
venire/sopportare il prurito, divento rossa e piena ai graffi per te. E
vorrei che leggessi almeno una volta. Vorrei che abbracciassi qualche cosa. Altéro. Supèrficie. Che stai in superfìcie e la tua orca
gonfiabile è il tuo orgoglio: magari da piccolo ti piaceva tanto stare
in mezzo al mare con animali gonfiabili e ora invece hai la pelle al
latte. Ora hai foto scattate. Ora hai la pelle bianca e un
viso orridamente angelico e puro. Muoio dalla voglia di urlartici contro che
devi essere non questo. Mi godo le 2.32 di questa notte, in cui figure
sfuggite corrono dietro la luce, nello spazio del corridoio, dato fuori
alla porta della mia stanza. N°3. Descrizioni? Racconti di notti
post-scambiste.
Falsi. Autentici.
Falsi. Autentici.
Colibrì. 19 giorni di gennaio, le 16.43. Ragazza al thè verde.
Pioggia.
Nausea.
Pioggia.
Nausea.
venerdì 11 gennaio 2013
AMORINO.
Isabella Santacroce. La vergine e il demonio. "In questa stanza guardo la finestra quasi fosse un volto, mentre Albertina continua a suonare supplicando la Vergine Maria di soccorrerla. Se solo. Quante volte dico se solo. Se solo. Se solo io fossi un'altra, nessuno, forse non mi divorerebbero i sensi di colpa. Se solo potessi dimenticare chi divento quando la luce finisce, se solo non arrivasse la notte.
Straziata dal buio, sporcata e derisa, divelta.
Mi chiedo com'è successo, l'unica cosa che so è che sono stata una bambina che un giorno è scomparsa.
Se solo non esistesse il dolore che provo, la pena, la rabbia, e quel desiderio di amore, infinito.
Se solo avessi il coraggio di uccidermi, fermarmi, non andare più incontro al terrore, a quel baratro che sempre mi attende, mi chiama, si apre.
Ancora poche ore e poi di me cosa rimane: un eco sottile, un'estranea.
Mi dico, Annetta resisti, non entrare nel male, chiudi le orecchie quando ti chiamano i demoni, fai finta di niente, stai ferma.
Anche stamattina ho provato, mi sono distesa fissando il crocifisso davanti. Niente di me si muoveva, lottavo. Dicevo: quando riuscirò a stare immobile di modo perfetto nessuno potrà piu fermarmi."
Ancora poche ore e poi di me cosa rimane: un eco sottile, un'estranea.
A cosa pensi?
Chi chiamerai domani mattina?
Chi penserai appena aprirai gli occhi, a quale cosa precipiterai l'insopportabile peso della responsabilità alla propria massa.
Cosa ti sta per cadere addosso?
Quale cappio sta per strignermi la gola?
Quella corda di che materiale è fatta? E' grossa, è piu sottile? Cosa costringe la gravità a tirarmi giu, se mi uccido non sono io che lo faccio, è un omicidio: la gravità l'assassina.
E che ingegneria. Facoltà dei più complessi. Neuroni.
Psiche. Psycho. Psychotic. Mi salta addosso ed entra. Non sono più io ora...
Ciao Isabella.
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